
Il Napoli si perde sul più bello, divorato dalla pressione che l’Inter gli carica sulle spalle fragili. Lo scudetto è ancora tutto da giocare negli ultimi centottanta minuti di passione. Due volte in vantaggio e due volte raggiunto.
Ma il vantaggio, ridotto a un punto soltanto, non può rassicurare Conte. La sua squadra, dopo quattro vittorie consecutive, si ferma contro il Genoa, generoso, determinato, sempre in partita, ma reduce da tre sconfitte di fila e all’apparenza senza niente da chiedere al proprio campionato. E invece succede quello che non ti aspetti. L’applauso dei 55 mila del Maradona ai propri beniamini feriti è la testimonianza che niente è perduto e che la lotta continua. Però il Napoli si sta incartando. Non ha il ritmo, l’intensità e neppure la freddezza necessarie a vincere questa gara complicata. Lukaku nel primo tempo e Raspadori nel secondo illudono Fuorigrotta. Il Genoa rimonta sempre, prima grazie alla rocambolesca autorete di Meret e a cinque minuti dalla fine con l’incornata spietata di Vasquez, un difensore. Il Napoli ha tante mancanze. Gioca lento, gioca piano, si fa infilare due volte al Maradona come non succedeva da novembre, nonostante la difesa sia ancora la migliore della serie A. L’ingenuità sostituisce il cinismo che serve in momenti così. Ora serve rialzarsi e andare avanti. Gli azzurri sono ancora padroni del loro destino, ma tra la trasferta di Parma e l’ultima in casa con il Cagliari non possono più permettersi passi falsi. L’Inter è come un falco, pronto a saltare addosso ai contiani.
Una notte lunga, difficile, tormentata. La tredicesima rete di Lukaku, che si libera di Vasquez con troppa facilità e infila l’esordiente Siegrist, accende il Maradona e cancella l’urlo di delusione per l’infortunio di Lobotka, capitato quattro minuti prima. Ma quando la strada sembra in discesa, la squadra di Conte si perde, si allunga, si complica la vita. Mancano l’intensità e la voglia di rischiare l’uno contro uno. Il Genoa si ribella al ruolo di vittima sacrificale. E la rete subita, con grave disattenzione difensiva, forse illude la capolista. La squadra di Vieira ha idee chiare, voglia di stupire ed è libera di testa: corre, lotta, pressa, affonda negli spazi soprattutto grazie alle giocate chirurgiche del ritrovato Messias. Pinamonti, di testa in anticipo su Olivera, colpisce la traversa, ma neppure lo scampato pericolo sveglia il Napoli, che nel giro di due minuti viene raggiunto. Sempre Messias crossa un pallone morbido, che trova Ahanor libero e indisturbato in area. Meret devia il pallone sul palo e con la gamba nella propria porta. Una carambola che gela lo stadio. Il Napoli non si riprende facilmente. McTominay, che aveva servito a Lukaku l’assist del vantaggio si muove moltissimo, partendo da sinistra e accentrandosi quando Raspadori, che gira intorno a Romelu, gli lascia lo spazio per inserirsi. Ma gli azzurri sono frenati, impauriti, ansiosi. Nel secondo tempo il Napoli aumenta la spinta. E quando Raspadori, ancora decisivo come a Lecce, 6 gol con appena nove partite da titolare, sfrutta l’imbucata magistrale di McTominay, Conte ha un sussulto e scatta fuori dalla panchina. Sembra fatta. Non lo è. L’allenatore, forse intuendo il pericolo, si copre togliendo Raspa per inserire Billing. Ma proprio l’ultimo arrivato, insieme a Olivera, si perde Vasquez nell’azione decisiva. Cala il silenzio. Il Napoli è primo. Ma lo scudetto è tutto da giocare. E Conte ha già sprecato il bonus. Ora deve solo vincere.